Ars Web
»
Il forum di ArsWeb
» Genealogia caposelese » rispondi al messaggio
Nome o Nick
Email
Sito WEB
Captcha
→
Citazione
(max 800 caratteri)
Attuali
9274
caratteri.
Il 9 aprile 1853 un devastante terremoto del IX grado della scala Mercalli, con epicentro Caposele, colp� l�Irpinia. Non era la prima volta e purtroppo altri terremoti si sarebbero nel tempo susseguiti. Leggendo le pagine del Santorelli, che sono una cronaca dettagliata di quell�evento, del dramma e dei disagi vissuti dalla popolazione, ci assale il ricordo di situazioni gi� tristemente vissute che, di nuovo, ci fa percepire la fragilit�, i limiti, la precariet� della nostra esistenza in balia delle forze della natura sulla quale non abbiamo alcun controllo. Un d�j� vu che ci induce a non dimenticare. Il Sele e i Suoi dintorni, IL TREMUOTO DI CAPOSELE, di Nicola Santorelli �9 Aprile 1853. I monti che coronano il paese sono oscurati da folta nebbia sino alle ore 10 del mattino e corre per l'aria un fremito di vento, come per imminente tempesta! Pi� tardi le nebbie s'addensano a foggia di colonne. Poco stante tace il vento, splende il sole, l�aria di tratto diviene assai calda. Verso il meriggio la temperatura s'abbassa e sfuria terribile vento. Comincia una pioggia, ma immantinente si converte in orrida buf�ra! Il letto delle acque delle sorgenti del Sele s'abbass� circa un palmo pria del tremuoto e le acque si resero calde. La quale caldezza fu tanto pi� notabile in quanto che queste acque sono sempre freddissime. E se � vero quel che molti accertarono, che innanzi al tremuoto alcuni vampi momentanei apparirono sul monte di Oppido, s� vicino al Sele, si dovrebbe inferirne, che il tremuoto che segu� dovea stare in alcun rapporto con quei fenomeni. L�orologio batte le due pomeridiane, e, previo un sotterraneo muggito che pareggi� lo scoppio simultaneo di pi� cannoni, il suolo trema con moto vario e contino per circa 15 secondi! Le scosse verticali e orizzontali nei primi istanti, si mutarono negli ultimi in circolari e giranti, e furono di maggior rovina al paese che fu centro della scossa; onde il tremuoto fu detto di Caposele. Sconvolti gli embrici dei tetti e smossi i tavolati e i soffitti, un orrendo scroscio precede l�eccidio! Il suolo or s�alza or cala, or va qua e l�, e quel che � peggio, negli ultimi momenti fa vortice! Le mura spaccate e divise dagli angoli si dimenan per l�aria, e, in men che accenna il dito, le arcate si spezzano, le travi e i tetti cadono o restano spenzolati sopra smossi pilastri! Non si vede dapprima che polverulenta nube, la quale si leva da pietre, tegole, brani di mura e pavimenti che crollan sul capo degli abitatori! Ad un tempo s�udivan strida e alti lamenti, chi chiama a nome i figliuoli, chi la sposa e chi invoca aiuto da Dio! Alcuni tentano fuggir dalla porta, altri slanciarsi dalla finestra, altri raggiunger le scale; ma lo spavento stringe il cuore, impaccia il piede e rende ansante e difficile il respiro! In questo udivansi grida di femmine, pianti di fanciulli, clamori da per tutto. Con querula voce chi cerca i genitori, chi i figli, chi la consorte! Molti sollevan le mani al cielo, ch� credono imminente la morte. Al posar della terra, essendo incerto il posar delle mura, molti si diedero gran fretta per giungere alle strade pi� aperte e mettersi in salvo. Ed oh qual triste veduta nel volgersi indietro! In mezzo a gran polverio qua pie?tre e travi usciti fuor di spezzate finestre, l� muri caduti o penzoloni con tetti collabenti. Era un orrore il vederli!, ma spettacolo pi� crudo e miserando vien poi dinnanzi! Un Sacerdote che discorrea dal balcone con fido amico che si trattenea di sotto, al crescer le scosse, tent� per salvarsi il disperato salto. Entrambi furon ricoperti da pietre, travi e calcinacci; ma il prete mostrava scoverto del capo il solo cucuzzolo in chierica. Due padri di famiglia, al cominciar del tremuoto, s'affrettano di scappar via dalla bottega di un barbiere, ove trattenevansi come a diporto; ma in questo, caduto il soffitto della casa e sprofondatone il pavimento, precipitarono in un forno che vi ardea di sotto! Ai figli che, non curando abbruciarsi, corsero a sterrarli, il fumo adiposo di� segno che i genitori eran schiacciati ed arsi! Onde quel luogo fu detto il forno dei morti ! N� qui finiva la ferale rovina. Una giovane madre, corre a far schermo ad una sua figliuolina che era in culla, e rimane pestata (oh quali affetti non le corsero al cuore!) su la sua bambina che non so come le sopravvisse! Due donne usciron di casa, e credendosi in salvo, tra gli abbracci di consolazione furono colte dalle mura delle case che in quel momento, sebbene cessato il tremuoto, pur rovinarono. Non reggo a tai racconti, di che feci a' miei versi ed a que' del Germano, s� triste preludio! [versi]. Scosso il seno della terra, ancora il suolo ondulava, quando parve i semivivi susurrasser parole sotto le orrende macerie! Nell'orribile dubbio, i cittadini corsero in ansia a trarre quei che mancavano di sotto le mura e i tetti caduti. Ma invano condussero l'orecchio al suolo per udir alcun lamento! Quando li scavarono erano ancor caldi, e chi lor sfibbia le giubbe, chi ad alta voce li chiama, alcuni li stropiccian con calde lane, altri se li addossan su gli omeri per trasportarli in casa; ma per quante arti scegliesse l'ingegno onde rivocarli in vita, tutte furon vane! In mezzo di tali angosce venne la notte che pi� spaventosa resero altre scosse; ma all'alba del giorno appresso, poich� le mura eran quasi tutte fendute e i tetti malsicuri, una folla di cittadini usc� dalle case. Alcuni si rifugiarono negli orti vicini, altri, non trovando simile ospizio, sul colle di Materdomini, molti ramingavan per le campagne! Chi pu� dirne le mutue lacrime nel mestissimo incontro chi le parole quando il pianto ebbe sciolto in parte quel duolo, che tenea chiuse le vie della favella? Dirocc� circa la sesta parte del paese, non poche case furono adeguate al suolo, e le pi� sode mostraron larghe fenditure. Undici Caposelesi furon pria sepolti che morti! Alla notizia del disastro accorsero sul luogo i Reggitori della Provincia, e, scelta la pianura di S. Caterina a qualche distanza dal paese, vi fecero piantar case di legno e disporle a strade intermedie, in guisa di paesetto. E poich� il tremito della terra non cessava, e molti per non lasciar la casa restavano esposti a rischio, continuo, fecero decreto, e lo fecero pubblicare per bando, che i rimasti in casa pericolanti dovean uscirne al pi� presto. [versi]. Dopo il 9 aprile, seguitavan ogni giorno ed a brevi intervalli gli scuotimenti; ma l'8 maggio ne segu� uno s� violento che di poco non raggiunse l'impeto del primo; la terra divenne fallace al fuggente piede! Pel corso di sei mesi non passava un giorno che non sentivansi scosse. S'avvicinava il triste anniversario, e i cittadini che tuttora rimaneano in quelle tende e baracche, oh quante volte bagnavan gli occhi di lagrime in guardar le loro case cadute o cadenti! Ma presi da timore non osavan murare nuove abitazioni. Decorsi altri mesi, non misero pi� tempo in mezzo, n� ebbero per grave ogni fatica e dispendio, qua per rialzare l'antica casa, l� per fabbricarne una nuova. Il che vedendo gli altri si volsero non solo ad imitarli, ma a gareggiare nell'opera, s� che il nuovo caseggiato riusc� pi� solido e di migliore aspetto dell'antico. Tutti non vollero dipartirsi, come da luogo sacro, dalla cerchia, dall'ordine e dalla foggia delle pristine abitazioni; ma non incontr� lo stesso esito la chiesa parrocchiale. Anche prima del tremuoto le sue mura erano s� spostate che si dov� diroccarle, serbando il pavimento per rispetto ai sepolcri e per una edicola laterale, che pi� tardi fu slargata ed intitolata a S. Maria delle Grazie. Per le quali cose il Garrucci dett� la iscrizione che segue : POPULUS CAPUTSILARENSIS/DILABENTES MUROS ECCLESIAE PAROCHIALIS/EXCIDIT/ET PAVIMENTO OB RELIGIONE SEPULCRORUM/SERVATO/IN EO AEDEM MARIAE DOMINAE GRATIARUM/RESTITUENDAM CURAVIT/ANNO MDCCCLVIII. Avvedutisi a tempo i Caposelesi che, per continuare l'impresa di rifabbricare il paese, e per condurla a buon termine, dovean pensare anzi ogni altro alla casa di Dio, scelsero all'uopo la chiesa degli Antoniani. La dilatarono di due navi, l'estesero in lunghezza annettendovi l'atrio che le si apriva innanzi, e vi aggiunser di lato una chiesetta, giovandosi dell'antico refettorio di quei frati. Aggrandita cos� questa chiesa e menata a termine, fu addetta alla parrocchia, e torn� in onoranza come la primiera. Le quali cose fatte, i cittadini si disposero a lasciar le tende e le baracche , e a far ritorno al paese. Ed oh come fu dolce mirar i reduci dall'esilio imposto dalla sciagura, che rientravano nelle rinnovate abitazioni! Pi� dolci sensi induceano nell'animo le madri coi bambini al seno, che liete del ritorno, acceleravano il passo al tetto natale e ne rendeano a Dio quelle grazie che sapean maggiori. N� and� guari che anche la mia famiglia lasci� l'ospizio di legno, che aveasi fatto costruire su la pianura del colle di Materdomini, e circondata da un drappello di giovanetti e donzelle discese la stradicciuola che costeggia le pendici di quel monte. Le care mura rinnovate, e le onde del Sele che pi� chiare brillavano intorno, parve che di fresca giovent� ravvivassero i reduci�. Articolo di Michele Ceres, estratto da: http://www.corriereirpinia.it/default.php?id=8&art_id=5477
Messaggio
Servizio forum realizzato da :
ArsWeb
Torna alla homepage